Possiamo che non sentirci che contenti del bel momento passato insieme a chiacchierare.
Il nostro gruppo ha fondato il suo relazionarsi, sulla semplicità di dialogo e sulla presentazione del proprio
background culturale in cui abbiamo constatato che nonostante la differenza generazionale,
si sia raggiunto una sintonia con cui abbiamo potuto riassumere cosa il pensiero di sinistra è per noi.
Siamo partiti col chiederci il motivo per cui ci siamo trovati qui a Monte Giove e siamo finiti irrimediabilmente
a parlare della bruciante sconfitta nelle ultime elezioni. Potevamo interrogarci per ore sulle cause di ciò,
ma abbiamo pensato fosse inutile continuare a dare colpe, trovandoci d'accordo sul fatto che la sinistra
ad oggi sia troppo lontana della gente e arroccata su questioni puramente politiche che poco hanno a vedere
con i veri bisogni. Detto questo, abbiamo voluto chiederci cosa fosse per noi il punto da cui ripartire;
c'è chi ha detto "partecipazione", chi ha parlato di "concretezza", per poi arrivare al punto più sentito che
è l'impegno che tutti noi dovremo avere nel quotidiano ed un maggior senso di responsabilità in ciò in cui
crediamo. Non lasciare agli altri di decidere il nostro futuro, non delegare sempre, essere
coerenti con le proprie convinzioni, formando un gruppo di lavoro compatto e duraturo, sempre aperto
a idee e critiche, da qualsiasi parte vengano. Dovremmo scendere dal piedistallo pseudo-intellettuale che
ci siamo costruiti in questi anni, pensando di avere sempre la ragione e di racchiuderci nelle nostre
ideologie, lasciando fuori, quasi demonizzando, chi non la pensa come noi. Una chiusura mentale e culturale
a quei pensieri a noi lontani che ci rimanda a inizio discorso, al motivo maggiore che secondo noi ha
fatto perdere consensi alla sinistra. Questo momento di coesione può e deve essere il nostro banco di prova,
in cui il rapporto umano e ideale possa indicarci la strada per un cambiamento vero ed efficiente.
Una base solida su cui possiamo fondare il nostro pensiero comune è la NON-VIOLENZA,
ideale apprezzato da tutto il gruppo, che è sempre presente in maniera teorica nei manifesti politici e dei movimenti,
ma spesso non applicato all'atto pratico.
(presentazione dei membri)
Il nostro gruppo si è potuto vantare di contare fra le sue fila membri provenienti da situazioni culturali e
storiche diverse; c'è chi come Pino e Laura ha avuto la fortuna di partecipare ai movimenti universitari
del '68, di cui ci hanno parlato come di un momento "sparti acque" nella storia contemporanea. Pensieri
così aperti e rivoluzionari da far arrossire la nostra odierna modernità, ma di essere delusi da come si siano
sviluppati quegli ideali, che sono stati, forse prematuramente, fatti uscire dalle università per essere utilizzati
come mezzo di conquista della politica del tempo. Chi come Mirta, ha voluto testimoniarci che pensare
ad una società alternativa a quella che stiamo vivendo non è affatto impossibile, avendo vissuto per
anni in una comune danese; o chi come Luca che viene da situazioni lontane
dal pensiero socialista/progressista, ma a cui si è avvicinato non senza problemi. E poi ci siamo noi,
i tre ventenni, che vedono come storia antica le gesta dei Partigiani raccontati da Peppe, o addirittura
letterari i pensieri rivoluzionari dei Sessantottini. Si è vero, tra di noi c'è chi come Francesco, vorrebbe che
i partiti di sinistra riprendano il posto che avevano decenni fa, una stesura capillare nel territorio, una
vicinanza al "proletario" che ad oggi viene ricoperta da partiti come Lega Nord e Movimenti per L'autonomia vari.
Un appello sposato dal gruppo intero, la partecipazione di cui si parlava all'inizio è forse quella che è mancata
al P.C.I. degli ultimi anni e che vorremmo si riproponesse oggi. Massimiliano, un altro ventenne, vede
difficile il proprio futuro nel mondo del lavoro, vorrebbe diventare professore e pensa che il posto per lui
e "chi lavora con la testa" in Italia, sia finito. Anche qui il gruppo si trova d'accordo; la standardizzazione culturale che
il consumismo ci ha imposto, ci ha spinti a interpretare il lavoratore come colui che produce
ricchezza materiale, che più lavora e più guadagna e che più guadagna e più può comprarsi ciò che
la società subdolamente gli impone. L'abbiamo rinominata la cultura del futile, del non necessario.
Io mi sono intestardito sul fatto che un maggior peso nella politica economica possa aiutare la sinistra
a capovolgere questa situazione di stallo, che dura ormai da troppi anni e che sta solo creando una sempre
maggiore disparità sociale. Insieme, abbiamo raggiunto l'idea che un altro mondo è possibile e che si deve e
non è difficile partire da ciò che la società è oggi. Un' etica maggiore nel consumo e nelle scelte economiche
non è un principio nobile come l'uguaglianza tra i popoli, ma può essere uno di quei piccoli-grandi
passi con cui possiamo migliorare la nostra società.
Simone
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