giovedì 26 giugno 2008

Convocazione 6 luglio

Ciao a tutti,
confermiamo la data.
Ci vediamo il 6 luglio, ore 9.30, alla corte di Sant'Anna del Furlo.
Chiedo ad Andreina di inviare le indicazioni per arrivarci.

Il programma generale è:
La mattina si discute, il più possibile in piccoli gruppi.
Alle 13.30 si pranza assieme, al sacco, condividendo ciò che ognuno porta, come a Monte Giove.
Dopo pranzo ci fermiamo per "socializzare" e conoscerci meglio.

Petra potrebbe mandare alla lista la porposta su come organizzare la mattinata.
Mentre per il pomeriggio di accettano proposte. Può restare anche molto libero, ma visto che tra noi abbiamo anche degli artisti, potremmo prevedere ad esempio qualche "pezzo" di Michele Gianni, concerti ecc.

Ci eravamo riproposti di portare, ognuno un nuovo amico (o compagno!).

Chi vuole può ancora mandare contributi e spunti per il dibattito. Per ora siamo stati abbastanza bravi ad usare la lista, continuiamo così, evitando "scontri" personali, perchè quelli è bene averli faccia a faccia, perchè sono più costruttivi.

Intanto, chi vuole, può anche cominciare a mandare "contributi" per la carta/manifesto, su cosa metterci e come lavorarci. io intanto continuo ad aggiornare il blog.

A presto,
Michele

martedì 24 giugno 2008

Consigli dopo la sconfitta

Non ero presente a Montegiove, ma ho letto le impressioni e le opinioni scambiate. Sarò presente (confermato?) il 6 luglio. Non so se sia utile per aggiungere un tassello al mosaico, ma invio il testo del messaggio che ho spedito alla "Fabbrica del programma" (il circuito internet che prima delle elezioni il PD aveva organizzato) da cui avevo ricevuto pochi giorni fa, assieme a migliaia di altri, la richiesta di un "consiglio" dopo la sconfitta e il disorientamento conseguente. Se qualcuno ha la pazienza di leggerlo, si capisce anche quale siano le mie (presunte) competenze professionali. Ciao a tutti.
Roberto Amici

Alla Fabbrica del Programma
Certo che sarebbe opportuno avere un network che alimenti comunicazione e informazione. Certo che sarebbe necessario raccogliere consigli e suggerimenti. Certo che sarebbe entusiasmante poter dare consigli con qualche probabilità che qualcuno li ascolti, li valuti e, magari, li accolga. Ma è davvero così? Non penso sia ragionevole, anche se più facile, fare riferimento ai massimi sistemi. Dunque pragmaticamente e per brevità un esempio concreto. La sanità della Regione in cui vivo, le Marche, è governata con una politica di destra da una giunta di "centro-sinistra": più rilievo dato agli spot ("cittadino al centro del sistema") che all'analisi dei bisogni, lottizzazione delle cariche "manageriali", appartenenza invece che competenza, scelte economiche restrittive in modo feroce e in modo non selettivo per il sistema ma generose per gli amici dei potenti nel pubblico e per i privati (esempi concreti a richiesta), assenza di consultazione con le forze sociali, equilibrio di bilancio esibito in contesto nazionale senza alcun intervento organizzativo che ne renda plausibile la generazione rispetto al disavanzo precedente (non so se si tratti di finanza o di contabilità creativa). Accuse ingiustificate? Sarebbe bello poterne discutere pubblicamente e in modo trasparente e con diritto di contradditorio. Il problema del mio esempio è proprio qui: chi, come me e molti altri, si riconosce in una politica di solidarietà, di "intolleranza zero", di prevalenza dell'interesse di tutti i cittadini rispetto ai privilegi dei pochi, di partecipazione attiva non può accettare un potere politico che si autoperpetua, che si "fa sistema", che non ammette dialogo, che non vuole né ascoltare né consentire dissenso. E la delusione è tanto più forte quanto più si vive in un contesto politico in cui chi governa sostiene di essere "di centro-sinistra" e, dal popolo di sinistra cui appartengo, ha ricevuto fiducia elettorale. Il Partito democratico è in grado di consentire, nell'esempio presentato, una discussione franca, libera, fra pari per comprendere e far comprendere ai cittadini se davvero le accuse sono ingiustificate? A me pare che il tema della "casta", più che su dotte elaborazioni storico-politiche, debba giocarsi sulla prassi quotidiana e sulla capacità di chi pretende di rappresentarci di non rappresentare nel concreto solo se stesso, i suoi interessi e quelli dei suoi amici. Mai sentito parlare di logge trasversali? Ecco, il consiglio è: dimostrare, con l'azione quotidiana, hic et nunc, a partire dalle "micro"-decisioni locali la capacità di ascoltare, di mettersi in gioco, di discutere, di correggersi, di accogliere, di lasciare il passo. Oggi, così non è.
Roberto Amici

Riflessioni oltre il tempo limite

Come marito di Pia, essendo un cuor solo ed un'anima sola, potrei dire che concordo e ratifico quanto da lei detto, anche perchè per iscritto (e solo per iscritto) al dono della sintesi e della chiarezza. Però non mi sottraggo alla responsabilità ed al piacere di comunicare le mie sensazioni. Inoltre nel frattempo, essendo oltre il tempo massimo ammesso, sono arrivate tante sollecitazioni che forse le mie considerazioni divengono tardive ed obsolete. Comunque...
La mia giornata Montegioviana è iniziata con un sms che ho mandato ad un carissimo amico, da sempre militante in R.C., sindacalista Cobas, il quale si stava recando a Mirabilandia col proprio figlio. Il testo del messaggio recitava così "strana sta faccenda, tu rifondarolo che vai nel tempio del divertimento borghese, io borghese che vado ad un incontro per rifondare rifondazione".
E' pertanto con una certa dose di disagio (da uno a dieci, lo quantificherei a 4) che ho osservato l'arrivo dei partecipanti. E più la gente arrivava, più mi sono detto "che cosa ci fai qui, tu non hai un percorso, non hai un'identità politica, non rientri probabilmente neanche nell'elettorato che potenzialmente potrebbe e dovrebbe votare R.C. (almeno secondo i canoni pre- elettorali). Successivamente:
1) mi sono sentito accolto e "a casa mia" nel cerchio ristretto sotto il presunto fico, che fra tutti i "naturalisti", non siamo riusciti ad identificare che razza sia. Ho potuto parlare sinceramente, senza pregiudizi, senza freni inibitori, libero fino in fondo. E QUESTO, SCUSATE, NON E' POCO.
2. il momento del pranzo è scorso via piacevolmente, accompagnato da una conversazione con chi ci si è trovato casualmente dirimpettaio nel tavolo, un misto di amarcord e "sognando il futuro";
3. il momento assembleare mi ha rivelato degli aspetti e dei toni meno costruttivi, ho inteso dei discorsi della prima ora (discariche no, inceneritori no....tutte cose giuste, ma o non produciamo più o ndo li mettemo sti rifiuti almeno negli anni di transizione tra il vecchio modello produttivo ed il nuovo modello, ammesso che si possa attuare???). Oppure basta l'uso della non violenza, in alcune circostanze la violenza è l'ultimo o unico rimedio possibile. Immagino che se fossimo andati avanti, ce ne sarebbe stata anche per la chiesa e per i credenti ...
Io credo che realizzare un'officina scevra di ideologie e di condizionamenti derivanti dalle proprie esperienze e percorsi personali sia una cosa ardua. Con contenuti diversi ed in contesti diversi, era (e forse lo è ancora) l'approccio di Bene Comune, che in nome dell'interesse collettivo, aggregava trasversalmente gli uomini di buona volontà.
Io, borghese piccolo piccolo, rimango disponibile al dialogo ed al confronto con tutti e su tutto ciò che non viola i miei principi di fondo ( non mi impegnerò in una battaglia per la sperimentazione della pillola abortiva o non farò battaglie per la chiusura delle discariche, senza che ci sia un programma alternativo sostenibile). Metto sul piatto la mia umanità, che non ha colore o etichetta e la mia piccola esperienza di 45enne che ancora non ha trovato la quadratura del cerchio e non si rassegna a "rassegnarsi".
Sono sicuro che mia moglie è stata più lucida nell'analisi e nelle conclusioni, ma ci ho provato...
Saluti a tutti in particolare a coda di cavallo, Michele ex rifondarolo per gli amici

Sergio Manuelli - CLAM

11 tesi dopo lo tsunami - Proteo o Anteo? La sinistra sulle proprie tracce

Quando la politica non sa più parlare, il ceto politico parla solo a se stesso di se stesso, non interpreta la società e ne rincorre le pulsioni
Centro Studi per la riforma dello Stato
1. CAMBIO DI PASSO Aprile 2008: va rilevato il tratto di discontinuità, forse di salto. Non si può riprendere il discorso dall'heri dicebamus. Occorre un cambio di passo, nella ricerca e nell'iniziativa. Non stava scritto che la transizione si chiudesse a destra. Ma così è avvenuto. E tuttavia non è la sorpresa il sentimento dominante: i segni c'erano, nel paese, e anche a Roma. Perché non siano stati letti, è il problema. D'altra parte, non è la paura il sentimento che ci deve dominare. Non c'è Annibale alle porte, non ci sarà un passaggio di regime. C' è una nuova destra, di governo, e di amministrazione, da sottoporre ad analisi e da contrastare nella decisione, con uno scatto di pensiero/azione.
2. DOPPIO FALLIMENTOSi conferma il dato, che viene da lontano, di una maggioranza di centro-destra nel paese reale. Negli ultimi quindici anni, l'opinione di centro si è avvicinata all'opinione di destra. Se la Dc era un centro che guardava a sinistra, Forza Italia è un centro che guarda a destra. Questo ha dato l'illusione che ci fosse un residuo di centro da conquistare a sinistra. C'era, ma meno consistente di quanto si pensasse. I mutamenti, non colti, di società, a livello di territorio, sono stati più forti dell'iniziativa politica. Sono state due le risposte a questi smottamenti di opinione: una a vocazione maggioritaria, una a vocazione minoritaria. La prima, una risposta, diciamo così, espansiva: competere al centro, per togliere al centro-destra un pezzo di consenso. Così, i Progressisti, poi l'Ulivo, poi l'Unione, poi il Partito democratico. Che quest'ultimo potesse assolvere a questa funzione da solo come un tutto, si è dimostrato un progetto, a dir poco, non realistico. La seconda, una risposta, diciamo così, difensiva: marcare una posizione alternativa, con una grande ambizione e una piccola forza. Non si può essere, troppo a lungo, anticapitalisti e deboli, antagonisti in pochi. Aprile, il più crudele dei mesi: due fallimenti, del centro-sinistra e della sinistra, del grande partito di centro-sinistra e della piccola aggregazione di sinistra.
3. POLITICA MUTAQui, un punto teorico-politico, che va affrontato. Si potrebbe chiamare l'equivoco della rappresentanza. Anzi, il rapporto tra l'equivoco della rappresentanza e quella che si dice la crisi della politica. Che cosa viene prima, una crisi di rappresentanza sociale o una crisi di proposta politica? Che cosa fa più difetto, la rappresentanza o la rappresentazione? Proviamo a rovesciare il senso comune. E diciamo così: la crisi della politica comincia non quando la politica non sa più ascoltare, ma quando la politica non sa più parlare. Certo che bisogna ascoltare, la rappresentanza è essenziale, capire la società, conoscerla, ma non è tanto la mancanza di questo che sta al fondo della crisi della politica. Il fondo della crisi della politica è nel crollo di soggettività politica, nella caduta, relativamente recente, della proposta soggettiva. La politica non sa più parlare proprio perché non sa più leggere, non sa più interpretare. E quindi non sa orientare, non sa dirigere. L'equivoco della rappresentanza è il fatto di assumere il dato così com'è, anche il dato della società, anche il dato della maggioranza di centrodestra nel paese. Se lo assumi così com'è, e cerchi di correggere questo, e non ti fai carico invece di una proposta politica forte, inneschi un processo che va a finire nella crisi della politica. Prima produci l'antipolitica e poi ti fai carico di rappresentarla.
4. DECIFRARE E TRADURREQuando la politica non sa più parlare, allora viene fuori un ceto politico, e un ceto amministrativo, autoreferenziale, che parla a se stesso e di se stesso, perchè non sa più parlare al paese, alla società. Questo ceto politico, impegnato a occuparsi di se stesso, entra nella logica di qualsiasi altro ceto.. Per garantirsi il consenso insegue le pulsioni di massa. Più le rappresenta, più vince. La politica non è scollata dalla società civile, è incollata ad essa. Se società civile è il campo degli interessi particolari e degli egoismi corporati, allora la politica di oggi non la rappresenta poco, piuttosto le assomiglia troppo. Questa politica è un pezzo di questa società, subalterna alle leggi di movimento, nazionali e sovranazionali, attraverso cui essa si autogoverna. Di qui, la crisi di senso dell'agire politico, vero e proprio fatto d'epoca del nostro tempo. Perché, compito principale della politica non è dare risposte, è fare domande. E' la politica che deve interrogare la società, e il dato che c'è, deve appunto saperlo leggere, decifrare, tradurre, e solo dopo che lo ha interpretato, può rappresentarlo, ma mai rappresentarlo come riflesso passivo, mai specchiarlo come si presenta oggettivamente, nel suo gioco incontrollato di forze.
5. COSTRUIRE IL SOCIALEQuale, su questo punto, la differenza tra adesso e ieri? In passato c'erano le grandi classi, che avevano una voce, che parlavano, esprimevano, sì, interessi, ma grandi interessi, di per sé riconoscibili. In quel caso la politica era più facilitata a rappresentare, a raccogliere, perché la voce veniva da potenti aggregati, già autonomamente, in qualche misura, organizzati. Era meno importante allora leggere e interpretare, era più possibile direttamente rappresentare. Ma quando le grandi classi si disgregano, e ti trovi di fronte a una società frammentata, pluralistica, corporativizzata, cetualizzata, anarchicamente individualizzata, quando non c'è più quindi voce sociale, aumenta l'obbligo della voce politica. Parlare a questa frammentazione, vuol dire elaborare una proposta riunificante. Il sociale ormai, nel capitalismo dopo la classe, va costruito, non va descritto. Produrre legame sociale, e produrlo attraverso il conflitto, o meglio, attraverso i conflitti, ecco il volto nuovo della Sinistra, dopo il Movimento operaio. La Destra, nemmeno la nuova destra, può e sa farlo. Il discrimine è qui. Fare società, ma con la politica: se deve esserci missione, per la Nuova Sinistra, questa è.
6. DISAGIO E PAURAC'è un'ondata di destra, che arriva, con il solito ritardo in Europa, dall'America di Bush, proprio mentre lì va forse declinando. E' una febbre da rivoluzione conservatrice in tono minore, che attacca i corpi malandati dei nostri sistemi politici. Lo schema è quello tradizionale: la paura come risposta al disagio. Perché la paura non è la causa scatenante, la causa scatenante è il disagio, di società, di umanità, e quindi di civiltà. La paura è un rimedio mobilitante per chi non ha difese, e dunque le cerca, per chi non ha sicurezza del futuro e dunque cerca sicurezza almeno nel presente. La destra corrisponde di più e meglio al lato oscuro dell'animo umano, e la sinistra ha i Lumi ma da tempo li tiene spenti. Una tesi politica, controcorrente, da sostenere con buone ragioni potrebbe dire così: la destra vince perché non c'è la sinistra. E' una tesi dimostrabile empiricamente, ultimi dati elettorali alla mano, nel paese Italia e, soprattutto, in quell'evento simbolico che è la caduta di Roma: non ha sfondato il centro-destra, è franato il centro-sinistra. La verità da cominciare a dire è che il centro-sinistra non ha futuro se non si riorganizza intorno a una Grande Sinistra.
7. IL CONVITATO DI PIETRAC'è un retroterra di questo discorso,che funge un po' da convitato di pietra di tutti i nostri pensieri. Dice questo: la destra vince, perché il capitalismo è forte. Sta forse esaurendosi il ciclo neoliberista e sta forse riguadagnando spazio il ruolo delle politiche pubbliche, e c'è da capire dove cadrà l'accento, se sul passaggio di crisi o sul passaggio di ristrutturazione. La sfida è a livello globale, e sarebbe bene non lasciare alla destra tutta intera la denuncia degli effetti perversi della globalizzazione mercatista. Il capitalismo è forte perché riesce a tenere ancora insieme innovazione di sistema, democrazia politica ed egemonia culturale. Un blocco di potenza che ha permesso fin qui a proprio favore due, e due sole, soluzioni di governo: o un centro-destra forte o un centro-sinistra debole. La virtuosa alternanza nei sistemi bipolari o bipartitici, modello Westminster, ha questo vizietto di fondo. In queste condizioni, non c'è spazio né per una politica di pura gestione né per una politica di mera contestazione. C'è posto solo per una guerra di posizione, di media durata. La difficile situazione economica impatterà con il governo politico della destra. E l'emergenza, che sembrava dover essere istituzionale, magari sarà di più sociale. La storia-mondo, poi, è un campo di imprevedibili eventi, se non la si guarda con la pappa del cuore, ma la si afferra con la lucida intelligenza di una politica-mondo. Qui c'è un terreno favorevole per la sinistra, se saprà essere meno Proteo e più Anteo, se saprà di meno apparire in tante forme e di più ritrovare la sola terra da cui ricava la propria forza.
8. SINISTRA, CHI SEI?Bisogna dire: il popolo della sinistra ha il diritto di avere, per sé, una forza politica. E poi dire: l'Italia, per stare in Europa e nel mondo ha bisogno di una sinistra. Non di una piccola sinistra, residuale, testimoniale, arroccata nei passati simboli e nelle antiche identità, ma di una Grande Sinistra, moderna, critica, autonoma, autorevole, popolare. Non si può concedere che l'anomalia italiana si ripresenti oggi nella forma dell'eccezione di un paese senza una grande forza politica che rivendichi con orgoglio questa funzione, nel nome, nei fatti, nei valori. Il problema di oggi non è: che cosa è sinistra, ma chi è sinistra. Più che conoscere, si tratta di andare a ri-conoscere il popolo della sinistra. Ma, anche qui, riconoscere non vuol dire rappresentare, vuol dire costruire, o meglio, ricostruire un campo di forze, in grado di portare un progetto di trasformazione, strategicamente pensato e tatticamente agito. Fondare un popolo: questo il Beruf - vocazione/professione - della politica, quando non è chiacchiera ma discorso, non immagine ma idea, non affabulazione ma organizzazione.
9. LAVORO E SAPERELa nuova e antica centralità: dare forma politica al pluriverso del lavoro. Ci vuole un'idea politica di lavoro, anzi, di lavoratore. Dopo l'esperienza storica del movimento operaio, in che modo la persona che lavora, uomo e donna in modo differente, può avere in quanto tale, non solo come cittadino, una funzione politica? Come i lavoratori associati possono contare politicamente? In che modo, per quali vie, con quali forme, possono esprimere un progetto di modello sociale, di sistema politico, di egemonia culturale? E, anche qui, chi sono oggi i lavoratori? C'è questo ceto medio acculturato di massa, che è diventato un po' la caricatura del blocco storico per il centro-sinistra: perché è isolato e lontano dal resto della società reale. Ha una parte alta, che va verso le professioni, una parte bassa che va verso il precariato, a volte le due condizioni si congiungono. E' prezioso lavoro della conoscenza, un decisivo pezzo di lavoro immateriale, con in mano il futuro di sviluppo del paese. Va ricongiunto al lavoro materiale, al lavoro manuale, che c'è anche quando manovra le macchine, al lavoro operaio, salariato. Il lavoro sans phrase, direbbe Marx. Ma qui ne va della dignità della sinistra il farsi carico e porre rimedio a questa disperata solitudine operaia, che si esprime, come abbiamo visto in tanti modi, a volte sconcertanti, che vanno riconosciuti, non giudicati. Solo assolvendo politicamente a questo compito si può riaprire il discorso sul nuovo «mondo del lavoro». Lavoro e sapere, si dice oggi. Più la differenza del lavoro femminile. Il lavoro autonomo, di prima e seconda generazione, che va ricongiunto al lavoro dipendente, garantito o precarizzato. Così come il centro urbano va ricongiunto alle periferie metropolitane. Non è possibile accettare come un destino il rovesciamento di consenso che si è verificato tra questi spazi di territorio e in questi luoghi del sociale. Non è possibile. O altrimenti essere di sinistra non ha più senso politico. Ecco la vera missione di un forte partito della sinistra: recuperare il senso della propria funzione, nel «fare popolo» come «soggetto politico». Ricongiungere, riannodare e stringere il nodo tra campo sociale e forza politica.
10. IL VECCHIO CHE AVANZADiceva Brecht: sul muro sta scritto "viva la guerra"/ chi l'ha scritto, è già caduto. Adesso si dice: non si può tornare indietro. Chi lo ha detto, ha già messo un piede nel vuoto. Il nuovo a tutti i costi restaura il vecchio che avanza. Abbiamo avuto a nostre spese, qui e ora, una lezione da manuale. Calcoliamo bene le mosse, prendiamoci il tempo necessario. Ma non escludiamo a priori il fatto che a volte è necessario fare un passo indietro per saltare in avanti.
11. TRACCE DI CIVILTA'Intendiamoci su questo. Non si tratta di mettere insieme i pezzi della vecchia sinistra. Sarebbe un'operazione fuori tempo e senza spazio. Il vecchio bisogna sempre che sia quello dell'avversario, mai il nostro. Tutte e due le tradizioni, quella comunista e quella socialdemocratica, sono esaurite. Ma non si creda che sia allora viva, per i bisogni della sinistra, la tradizione liberaldemocratica. Il partito del popolo della sinistra è oltre tutta intera questa storia. Le componenti popolari si sono sfaldate, ma le loro culture in senso lato, cioè le tracce di civiltà, che esse hanno depositato nella storia del nostro paese, sono lì, in attesa di essere riconosciute,valorizzate, riorganizzate e riunificate con le nuove culture, con i nuovi grumi di civiltà: le esperienze di organizzazione con le esperienze di movimento, il socialismo con il femminismo, il cattolicesimo sociale con i diritti della persona, il lavoro salariato con l'ambientalismo politico, la cultura del conflitto con la cultura della pace. Tutto questo, insieme, è popolo della sinistra. E può diventare partito del popolo della sinistra. Non è un blocco, è un campo. Non si comporrà da solo. Bisogna comporlo. Ci vuole decisione politica e pensiero forte. Ma, ecco: non si deve scherzare con i propri riferimenti, pratici e teorici. Altrimenti, si diventa un'altra cosa.