martedì 17 giugno 2008

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carissime e carissimi
vorrei disinnescare una polemica che sembra profilarsi forse anche per certe mie affermazioni che evidentemente non ho espresso con la dovuta chiarezza (caro peppe, come hai ragione sui trabocchetti della lingua!)
visto che in alcuni messaggi è emersa sporadicamente - cioè nella misura giusta per una questione di non certo principale rilevanza - l'indeterminatezza degli appellativi che possiamo usare fra di noi (francesco paci ha ironicamente elencato le possibilità: amici, compagni, camerati), io ho ammesso che non mi dispiace usare quello di "compagno", e con esso non intendo sottolineare l'appartenenza ad un distintivo ed irrinunciabile patrimonio politico-culturale; con esso mi piace rivolgermi a tutte quelle persone (siano di cultura libertaria, cattolica, socialista, ambientalista buddista o altro) con cui - per esempio a monte giove - posso condividere, e anche mettere in discussione con onestà intellettuale, i miei principi propositi e dubbi, recependo le identità e le storie di ciascuno come arricchimenti. libero chiunque vuole di chiamarmi amico, fratello, compare, collega o anche peggio (su camerata ho qualche resistenza).
detto questo spero di avere sciolto l'apparente contraddizione tra il salutarvi come "compagne e compagni" e l'importanza da me più volte espressa di "non essere etichettabili". su questa avvertenza, poi, devo chiarirne evidentemente il senso.
posta l'opportunità di tenere "aperta" l'esperienza iniziata a monte giove per non escludere automaticamente chi potrebbe aderirvi, è ovvio e auspicabile che si arriverà ad una sua definizione costitutiva; e qualsiasi "forma" essa prenderà potrà essere promotrice di iniziative "proprie", cioè coerenti e identificative. ma (scusate se torno sul tormentone) la mia proposta di lettera è un'altra cosa, non vuole fare riferimento ad un gruppo di appartenenza, vuole essere qualcosa che appaia (lo ripeto) più che ai giornali a chi li legge come la spontanea convergenza di tante testimonianze sulla paura della recrudescenza neofascista, testimonianze che quindi dovrebbero essere di carattere personale, non a nome di un gruppo o movimento o partito, in questo senso "non etichettabili". è un'idea che avevo da un po' e che cercavo di diffondere, ho ritenuto quindi utile l'occasione di monte giove per parlarne in una volta sola a più persone possibili. se però una simile iniziativa non vi trova d'accordo, pazienza. è chiaro che se a scrivere la lettera siamo in due o tre non avrebbe senso.
spero di essere stato comprensibile
ciao
Vittorio

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Per quel che conta, brava Emanuela.Luciano Benini(cattolico che non manderebbe mai i propri figli alle scuole private, nè cattoliche nè non, perchè crede nella scuola pubblica)

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Bene, se ciascuno ha già i suoi modelli irrinunciabili, tipo non farò mai nè questo nè quello, che ci viene a fare a Monte Giove?
Ognuno di noi ha già le sue convinzioni, non siamo adolescenti in cerca di identità nè qualunquisti della serie "piove, governo ladro"; siamo persone strutturate che in modo più o meno diretto si sono occupate di politica o di sociale, o comunque hanno sempre fatto scelte consapevoli.

Però, se siamo andati a Monte Giove vuol dire che abbiamo capito che tutto ciò non bastava. Abbiamo cercato nel confronto le domande, prima delle risposte.

Immaginavo che il punto dolente, nel mosaico di coscienze di Monte Giove, sarebbe stata la divergenza che da sempre separa chi si ispira al cattolicesimo da chi affonda le radici in filosofie liberali o comuniste, in particolare sul tema dell'aborto.

Magari siamo d'accordo sul rispetto delle culture, delle necessità individuali e collettive, dell'ambiente, della democrazia, della pace, del rigore morale, della decrescita sostenibile e un mucchio di altre cose, ma ogni "schieramento" ritiene caratterizzanti e irrinunciabili le questioni dell'aborto e delle radici comuniste. Poi, si può anche lasciar governare chi violenta il territorio, si arricchisce indebitamente, subordina il valore dell'essere umano a quello del denaro, oppure incentiva l'industria bellica per le "guerre giuste". Ma non tocchiamo i temi dell'aborto e della famiglia da una parte, e che nessuno si azzardi a toglierci il titolo di Compagni dall'altra!
Se poi quello che conta sono le etichette, sulla questione ecco la mia: militanza attiva di sinistra extraparlamentare dagli inizi del liceo (con tanto di denuncia per occupazione abusiva di uno stabile a favore di un centro sociale), contatti con le femministe di Via del Governo Vecchio di Roma quando l'aborto era vietato e veniva svolto in clandestinità, rappresentante sindacale di sinistra, ambientalista, animalista, sposata non in chiesa nè cresimata. Però mia figlia, che non ha ricevuto i sacramenti perchè non siamo religiosi, è andata a scuola dalle suore dove ha trovato un'accoglienza come persona, le hanno insegnato che il cibo non si spreca, l'importanza della pace e della tolleranza, l'empatia per il disagio degli altri: proveniva da una scuola pubblica dove si mangiava nei piatti di carta, sprecando gran parte di ciò che c'era dentro, i bambini arrivavano vestiti all'ultima moda e la cosa più importante erano le feste di compleanno, venivano date valutazioni elevate a fronte di preparazioni modestissime. Rispetto all'aborto, ritengo che debba assolutamente rimanere legale, ma auspico che se ne realizzino il meno possibile perchè è una violenza devastante innanzitutto per il corpo e lo spirito delle donne. Non ritengo sia una conquista l'aborto per costrizione: la maggior parte delle donne che lo sceglie, non ha veramente alternativa. E se l'avesse? Se la legge funzionasse davvero e le mettesse in condizione di poterlo decidere senza condizionamenti esterni? Fermo restando che ognuno deve poter decidere del proprio corpo, quante sono le donne di buona posizione sociale che ricorrono all'aborto? Non sarà un modo spiccio per evitare di affrontare problemi più grandi, sacrificando ancora una volta proprio le donne?

Come etichetta, mi rendo conto che fa acqua da tutte le parti. Ecco perchè sono venuta a Monte Giove.
Emanuela

a scanzo d'equivoci

a scanzo d'equivoci
care compagne e cari compagni
pazienza per chi si sente infastidito dall'appellativo, io no. riguardo all'esigenza di elaborare un documento prima di intraprendere qualsiasi inizativa, io credo che alcune iniziative (come una lettera a un giornale - scusate se continuo con questo tormentone, che ormai avrà portato qualcuno alla nausea) possano prescindere da dichiarazioni d'intenti preventive, anzi la loro efficacia starebbe proprio nel non essere etichettabili. e quanto all'efficacia, vorrei chiarire che simili iniziative non valgono a "cercare il consenso degli altri" ma a creare consenso, cioè a sensibilizzare, e per sensibilizzare (scusate l'ovvietà) andrebbero cercati i modi utili a comunicare non con chi è già sensibile ma con chi potrebbe esserlo. o no?
ciao
Vittorio