martedì 29 luglio 2008
Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?
Innanzitutto devo dirvi francamente e senza esitazioni che considero lagiornata di Sant'Anna un arretramento rispetto a quella iniziale.Seguendo una vecchia suggestione di Lidia Menapace avevo cominciato le mielettere appellandomi ai compagni/e nonché amici/che, stando attento ognivolta che parlavo, un istante dopo l'altro, ad essere il più possibileinclusivo e a non creare occasioni di risentimento in altri diversi da meper sesso, età, cultura, studi, provenienza geografica e percorsoesistenziale.E poiché io sono uno di coloro che usano il termine "sinistra" per indicareuna situazione di rottura con questo presente, dopo avere letto alcunelettere di iscritti alla ml, devo constatare di essermi sbagliato; molto opoco non fa poi gran differenza.Un'osservazione preliminare: il termine "sinistra" è parte viva della storiad'Italia. Esiste dalla seconda metà dell'ottocento e non è solo sinonimo dipartiti o sindacati ispirati dalle dottrine di Marx, Bakunin o Bernstein, maqualche cosa di più ampio e complesso. Milioni, forse miliardi di persone,si sono ispirate ad esse. Tra quelle ci sono anche io. Ho i miei anni, lamia storia, il mio modo di comunicare. Posso essere anche ridicolo, manessuno mi può chiedere di essere una cosa diversa da quel che sonodiventato.Si dice: i partiti non servono. Allora cosa faremo quando il nostro gruppoavrà superato questa fase iniziale? Come decideremo di essererappresentanti-rappresentati nelle assemblee elettive o comunque sescenderemo nel vivo del corpo sociale per fare qualcosa? La verità è che lascomparsa dei partiti è la conseguenza della vittoria che una concezione delmondo, quella capitalistica, ha conseguito a danno dell'antagonista. Per cuine è derivata una concezione particolaristica, utilitarista ed egoistica,che ci fa sentire a disagio in ogni piega del nostro vivere quotidiano.Viceversa l'altra concezione riteneva e ritiene che il tutto è piùimportante della parte, che l'interesse della comunità sociale deveprecedere quello dell'individuo, la solidarietà sovrastare l'egoismo e ilbene comune quello particolare. Il termine "compagno" era lo scrigno e laperla di questa rappresentazione della vita.Non si può negare questa storia o, semplicemente, non tenerne conto, Citroveremmo tutti senza riferimenti culturali, inadeguati nei confronti dellarealtà che avanza, e avremmo molte difficoltà a leggere le cose chevedessimo scorrere davanti ai nostri occhi. Non riusciremmo, per dirne una,a capire il significato di termini elementari come fascismo e antifascismo.Gramsci vedeva il partito come "intellettuale collettivo", cioè come luogodi unione di tutte le intelligenze in una sintesi efficace ed efficiente. Insenso più ampio, una concezione condivisa dell'esistenza. Questo volevo direquando a Sant'Anna avevo accennato allo scavo nella memoria. Era iltentativo di superare la cesura, colmare il fossato, che la civiltà deiconsumi e dell'individualismo sfrenato aveva tracciato tra il nostropresente e l'epoca dei nostri antenati. Il Rinascimento l'hanno fatto gliartisti e i filosofi, ma l'opera compiuta dai contadini marchigianinell'arco di un millennio (900-1900) è assolutamente al di là di ogniimmaginazione. Non sarebbero mai riusciti a creare questo nostro paesaggiomeraviglioso se non avessero lavorato tutti insieme, duramente, seguendo ununico grande progetto collettivo. E' questa la lezione di Pasolini, ma anchedel nostro grande Paolo Volponi.Per cui, metodologicamente, credo che noi non si debba dire mai "questo è",bensì "questo io credo che sia". E dovremo ricostruire qualcosa che non siaun partito, ma ne contenga la storia, così come nel DNA del nipote c'èquello del nonno. E' il dubbio che deve muoverci, non la certezza. E primadi tutto dobbiamo trovare degli obiettivi grandi, pensando in grande. Conmolta umiltà e con altrettanta severità verso noi stessi.Fine della sparata.Peppe
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