martedì 22 luglio 2008

Rapporto immigrati-istituzioni

Inquadramento del rapporto immigrati-istituzioni
Prime note

Nell’intento di contribuire alla realizzazione di un secondo appuntamento seminariale organizzato da Laboratorio Marche e dall’Assemblea Legislativa delle Marche, intendo precisare che il contributo risentirà, nel bene e nel male della mia impostazione. Ho lavorato in qualità di responsabile della commissione migranti di PRC, e attivista fra i fondatori della Rete Migranti “Diritti Ora!”negli ultimi 5 anni.
I passi da cui si muove lo studio presentato a Pesaro evidenziano la necessità di un rapporto accurato e continuativo con gli agenti, mondo della formazione, Terzo settore, mondo del lavoro, pubblica amministrazione. Mi trovo d’accordo perché è più che mai tempo che vengano superate le visioni, e di conseguenza le azioni, assistenziali che tendono a mantenere gli immigrati in un mondo a parte, che non spaventi noi e non metta loro troppi grilli in testa.
Senza dilungarci su termini quali “inclusione”, “modello anglosassone”, “modello francese”, “multiculturalità”, il punto oggi è questo: siamo di fronte a fenomeni strutturali, e dobbiamo affrontarli come tali. L’immigrazione cambia la vita a chi viaggia, ed a chi è visitato. Per conoscere i rapporti fra immigrati e Regione Marche è necessario chiedere informazioni sia ai nuovi cittadini che ai vecchi, tanto le loro vite sono ormai cambiate. Rivolgere la necessità di sicurezza, ovvia, verso vie d’uscita durature, nelle quali si trovi la più alta soddisfazione per la maggior parte delle persone. Altrimenti si rischia di andare incontro ad errori imperdonabili: siamo già in presenza di operatori sindacali, del terzo settore, amministratori circoscrizionali e di sportelli del lavoro che colgono appieno la necessità di fare incontrare le esigenze delle nuove generazioni, e dei migranti, col mercato delle opportunità, e di contro registriamo comunità e gruppi di migranti che preferiscono inserirsi nelle nicchie della società ed accettarne le peggiori forme, senza chiedere democrazia e partecipazione.
Procediamo con alcuni esempi: leggendo le pagine del Corriere Adriatico di oggi, 11 luglio 2008, pagina di Ancona, si nota la contrapposizione del titolo con il testo dell’articolo. All’allarmismo di <<>>, riferito ai residenti del Piano, quartiere popolare di Ancona, segue una serie di interviste che evidenziano l’ingresso dei migranti nelle strutture lavorative, conservandone il tenore prevalentemente mercantile, denunciano la scarsità di poliziotti rispetto al numero di turbolenze, ma poi descrivono gli stessi come portato di una economia con pochi sbocchi lavorativi e necessità di strutture d’aggregazione e discussione dei problemi, tal e quale come avviene per gli italiani di origine. Il Piano ha 3038 stranieri residenti, , che sono il 12,5% di tutti, ed il 45% di quelli che risiedono in città , a rappresentanza di 62 etnie. Assumendo le caratteristiche dell’inchiesta, gli altri articoli narrano le presenze a scuola, i desideri dei genitori, simili a quanto raccolto negli studi sulle seconde generazioni ( vedi studi dell’Università Politecnica delle Marche) ed infine gli sforzi degli amministratori di circoscrizione, considerati da più parti attivi ed efficaci.
Abbiamo così individuato alcuni dei soggetti da includere, da far parlare, nel nostro lavoro: gli italiani che più percepiscono il fenomeno, amministratori, negozianti, vigili urbani, insegnanti soprattutto inferiori, sindacalisti, operatori di sportello, articolati fra chi convive con i migranti tutto il giorno e chi li affronta come operatore. I soggetti, così considerati osservatori privilegiati, saranno i più utili a dare suggerimenti e, oltre a raccogliere dati, hanno dalla loro la passione, la motivazione a lavorare per un trattamento più equo. La motivazione prima è, secondo me, non tanto l’adesione ideologica ad una politica d’inclusione, quanto la constatazione che la reciproca sicurezza e il non spaesamento, sono la base della convivenza condivisa e progettata assieme. E’ derivata da una più larga ricognizione anche la spinta ad implementare i provvedimenti presi dalle varie amministrazioni: la provincia di Ancona si prepara a gestire dei bandi (docup) sulla formazione migrante, le cui linee guida, preparate dalla regione, rischiano di non essere congruenti, cioè chiedono dei limiti e delle caratteristiche dell’utente che sono inutili se non dannose. Questo avviene spesso, e non è un buon incentivo alla buona amministrazione la dispersione di denaro pubblico. Alcuni incontri conoscitivi chiesti dalle associazioni dei migranti individuano queste disfunzioni, ma non hanno titolarità per intervenire, ovviamente. Le comunità migranti, costruite su base di nazionalità, mancano di una presenza utilizzabile all’interno delle istituzioni, che peraltro prevedono un loro ruolo consultivo.
Non è però nostro compito, se vogliamo indirizzare degli studi statistici e rafforzare le istituzioni, fare di tutto: alcuni suggerimenti possono venire, ma se le istituzioni vengono vissute come foriere solo di finanziamenti a pioggia e non di partecipazione, le colpe vanno divise a metà. Poi, chi vuole da entrambe le parti più coinvolgimento, deve fare delle proposte, anzi le deve fare da una parte comune, interetnica. Imprenditoria migrante, diversa da quella che viene concessa, se possibile progettata: la autocostruzione proposta come fonte di sicurezza non sarebbe un cavallo di troia nel flagello delle morti per lavoro, e del lavoro senza programmazione come edilizia ed infrastrutture?
E di conseguenza sarebbe uno strumento di governo del territorio: prevenzione della paura attraverso la conoscenza dei vicini di casa, e corrresponsabilizzazione degli attori che vanno ad occupare il territorio.
Spostandoci dal terreno della formazione a quello dei servizi, altrettanto basilare per il soddisfacimento delle reciproche esigenze di avvaloramento sulla zona, una figura che tutto comprende e nulla risolve così com’è concepita è quella del mediatore. Il mediatore, culturale, linguistico, sanitario, non ha una declaratoria nazionale né regionale. Figura di informazione, democrazia, assolve compiti di aiuto al vigile urbano, all’infermiere, al volontario generico ed al socio lavoratore di tante cooperative di servizi che, propriamente e impropriamente, puntellano quando non interpretano al meglio le nostre aspettative distato sociale. Ma senza albi regionali, provinciali, o piuttosto un melange di tutto ciò, i mediatori sono terreno di scorribande di formatori, veri e sedicenti, e sono la figura professionale e le implicazioni formative a prendere il posto del servizio che si deve assolvere.
Sarebbe interessante, mentre i ministeri si stanno interessando con le regioni a dare degli status a questa figura, conoscere chi e per cosa è utilizzata nelle Marche, chiedendolo all’ASUR, alla Regione, alla Azienda Sanitaria Regionale, alla medicina del lavoro, al servizio di epidemiologia, che molto si è impegnato a regolamentare ed a costruire un ponte fra assessorati.
L’immigrato è figura alle volte di attore ed alle volte di pubblico, o utente, negli interventi di promozione dell’agio e riduzione del disagio. Interesserebbe non poco stabilire con criteri statistici quanti musicisti fanno e quanti godono delle varie forme di musicoterapia, di animazione (Hotel House, associazione di Petriano, musica e terapia con Maurizio carbone a Mcerata). L’emersione della musica non regolarmente retribuita sarebbe interessante anche per il cammino della legge sulla musica non colta nelle Marche, senza volerla risolvere oggi. Il punto è pensare gli immigrati come protagonisti non solo di attività ripetitive e marginali, ma propositori, il che li affrancherebbe non poco dallo spoliamento.



Ancona, 15 luglio 2008

Marcello Pesarini

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