Una campagna per l’educazione civica. È quello che in modo deciso, capillare, sistematico, scuola per scuola, territorio per territorio, servirebbe oggi al nostro Paese. Per seminare, in un arco di tempo ragionevole, la realtà di un’altra Italia.
Non di un’Italia di sinistra, di centro o di destra, ma di un’Italia dove la democrazia sia così genuina, pluralista e ospitale da tendere a farsi onnicrazia, secondo l’espressione profetica e gentile, quindi profondamente intelligente, di Aldo Capitini.
Non è forse vero che, quando ci chiediamo come mai un’altra economia stenti a maturare, quando vediamo il degrado della vita pubblica, quando molti si abbandonano a comportamenti antisociali, quando vorremmo debellare le mafie, giungiamo puntualmente ad affermare che sarebbe anzitutto necessaria una profonda opera di educazione civile? Eppure perché ci si limita a segnalare questa esigenza fondamentale e si resta sul terreno sterile dell’auspicio? Chi potrebbe dire che un’educazione civile e umana più adeguata in Italia sarebbe un fatto di poco conto, oppure qualcosa che non c’entra con le pratiche dell’altra economia?
Se davvero si desidera un cambiamento qualitativo, se non ci si rassegna al volto ottuso dell’Italia –quella che dà la caccia ai rom, agli stranieri, ai lavavetri e ai mendicanti, scacciati persino dalle vicinanze delle chiese di Assisi- si comprende che è possibile fare molto. Penso precisamente a una grande e diffusa campagna di opinione e d’azione per l’educazione civica. Una sorta di vaccinazione per la buona convivenza, di alfabetizzazione costituzionale, di coscientizzazione corale che comprenda il dialogo tra le generazioni, tra le culture, tra le visioni della società.
Tale campagna dovrebbe essere attuata su vari piani. Sviluppando la ricerca antropologica, psicologica, etica, giuridica, economica, sociologica e pedagogica in maniera convergente, sino a raccogliere una sintesi avanzata e organica della consapevolezza civile, costituzionale e interculturale relativa a modelli più giusti e pacifici di convivenza. Mettendo a punto strategie educative e didattiche, libri di testo e strumenti di insegnamento concretamente adottabili nella vita quotidiana delle classi di scuola e degli istituti. Formando ulteriormente gli insegnanti in tale direzione. Associandosi e coordinandosi, creando reti, una campagna d’opinione e un vero movimento di docenti che segni finalmente una svolta positiva nell’assunzione della responsabilità educativa, da parte degli adulti, nei confronti delle nuove generazioni. Non penso solo ai docenti di ogni ordine e grado della scuola e dell’università. Penso anche al mondo del volontariato, almeno ad alcune sue espressioni che possiedono un potenziale educativo molto alto e possono interagire armonicamente con il mondo della scuola. Penso all’azione culturale degli enti locali e, se si risvegliano dal letargo, anche dei sindacati. Penso anche all’azione di coscientizzazione civile e antimafiosa a suo modo già intrapresa dalle sezioni locali della Confindustria in quelle regioni d’Italia che devono subire la prepotenza della criminalità organizzata. Penso ad associazioni come Libera e Amnesty International. Penso a quelle realtà religiose –cristiane, ebraiche, islamiche o di altra confessione- che sono sensibili al paradigma della responsabilità e della solidarietà come condizione esistenziale di una fede autentica.
La frammentazione, la rassegnazione, la confusione, la passività, l’isolamento dei più volenterosi sono ostacoli che ormai devono essere superati. Bisogna fare fronte al nuovo individualismo indotto dalla globalizzazione, ma anche dalla mancata maturazione del senso del bene comune e della legalità nel nostro Paese.
Un compito del genere è assumibile sin d’ora con buone speranze di invertire le tendenze negative. Ma è necessario che quanti possono e devono contribuire a questo movimento comincino a sentire e a vedere un inedito spazio di unità d’azione, a riconoscere un orizzonte comune di senso in grado di impedire che gli sforzi quotidiani vadano dispersi. Come quando, in cuor nostro, iniziamo a credere alla primavera.
Roberto Mancini
Articolo tratto dal n. 96 – luglio 2008 – della rivista ALTRECONOMIA
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