Secondo la definizione comunemente accettata del concetto di democrazia tra gli elementi essenziali figurano due aspetti: il voto deve essere uguale, e il voto deve essere libero.
Uguale viene inteso secondo la concezione anglosassone: un uomo un voto, e libero significa conseguenza di una scelta spontanea, consapevole, fra opzioni effettivamente diverse.
Le altre caratteristiche tipiche di una democrazia sono che i governati devono essere in grado di esercitare il controllo sui governanti, gli atti dei governanti devono essere pubblici e trasparenti, ci devono essere il rispetto di procedure prederminate, e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Ma per ora ci limiteremo ad analizzare l’aspetto relativo al voto.
A detta di Massimo Fini (nel libro “Sudditi, manifesto contro la democrazia” Marsilio edizioni), nessuna di queste condizioni è rispettata nella democrazia “reale”.
A suo dire il voto non è uguale e non è libero, e cerca di dimostrare perché.
Il voto del cittadino singolo, libero, non intruppato in gruppi, si diversifica e si disperde, proprio perché libero, laddove gli apparati dei partiti, facendo blocco, sono quelli che effettivamente decidono chi deve essere eletto.
Il voto di opinione, cioè il voto veramente libero, non ha alcun peso rispetto al voto organizzato.
Afferma lo stesso Bobbio “oserei dire che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza danni”
L’esistenza legale di lobbies e partiti è il più grave e deciso vulnus alla democrazia perché ne nega in radice uno dei presupposti fondamentali: che almeno nell’unico momento in cui partecipa realmente al processo decisionale con il voto, il cittadino sia messo su un piede di parità con tutti gli altri.
Non è un caso che i primi teorici della democrazia non facciano alcun cenno ai partiti e che fino al 1920 le Costituzioni degli stati democratici non li prendessero nemmeno in considerazione. Anche oggi, pur avendo i partiti occupato ogni ambito del settore pubblico la Costituzione italiana ne fa cenno in un solo scarno articolo, più che altro per riaffermare il diritto di associarsi liberamente. I partiti non sono l’esempio della democrazia, ne sono la fine.
In realtà nessuna democrazia rappresentativa è una democrazia, ma un sistema di minoranze organizzate che prevalgono sulla maggioranza dei cittadini singolarmente presi. E’ un sistema di oligarchie, o di poliarchie come preferisce chiamarle invece Sartori.
Rispetto alle aristocrazie storiche, chi appartiene alle oligarchie democratiche non ha qualità specifiche. La classe politica democratica è formata da persone che hanno come elemento di distinzione unicamente quello di fare politica. La loro legittimazione è tutta interna al meccanismo politico che le ha prodotte. Da qui la conseguenza che una oligarchia senza qualità, qual è quella dei professionisti della politica, non viene rispettata, e ciò ha conseguenze profonde sull’intero tessuto sociale.
Il potere che essi hanno viene percepito come arbitrario dai cittadini, i quali vi si sottomettono non perché credono nella sua legittimità o autorevolezza, ma perché lo temono o attendono da esso vantaggi, benefici, favori, clientelismi.
Il regime democratico, trasformato in un sistema di oligarchie senza prestigio e senza obblighi, si presta alla corruzione morale e materiale, sia delle stesse oligarchie che dei cittadini.
Questo porta al concetto che il voto non è libero e il consenso è truccato.
Noi non scegliamo i candidati alle elezioni, perché gli scelgono i partiti, che scelgono pure che deve essere eletto e quindi chi deve rappresentare i cittadini. Il sistema elettorale maggioritario completa l’espropriazione del potere dei cittadini e la rende sfacciata, perché il capo del partito di maggioranza della coalizione, sceglie anche i collegi sicuri per i partiti alleati e quindi sceglie anche chi deve essere eletto per gli altri partiti.
Se il cittadino non può decidere i propri rappresentanti, esso può però almeno decidere fra diverse opzioni, fra diversi partiti, fra diverse politiche, fra idee diverse: Ma neppure questo è vero.
Il potere democratico si basa, più di qualunque altro sulla parola. Nessuno riesce a controllare se da un annuncio alla costruzione della politica in esso previsto ci sia stata effettivamente coerenza, sia per la complessità dei percorsi, sia per il tempo che passa tra un annuncio e la sua effettiva realizzazione. Inoltre ci si mettono di mezzo i mass-media ad aumentare la confusione, anziché aiutare i cittadini a capire. In più molto spesso tali mezzi “definiti appunto strumenti del consenso”, sono controllati dalle stesse oligarchie politiche, o da oligarchie economiche collegate a quelle politiche in un intreccio poco rassicurante.
Il flusso del consenso non va quindi dal basso verso l’alto, come vorrebbe la teoria democratica, ma dall’alto verso il basso, per il condizionamento dei media.
Che anche l’alternanza al potere sia una delle tante finzioni di cui si nutre la democrazia è particolarmente evidente nei sistemi bipolari o bipartitici, composta da un indifferenziato ceto medio, dove tutti i partiti sono a favore di quel libero mercato che, insieme al modello industriale, è il meccanismo che detta le condizioni della nostra esistenza.
In mancanza di vere alternative questo enorme ceto medio si divide fra destra e sinistra con la stessa razionalità con cui si tifa Milan o Inter.
Infatti vinca il Milan o l’Inter è sempre lo spettatore a pagare lo spettacolo. Quanto ai giocatori, ai vincitori andrà la parte più consistente del bottino, ma anche ai perdenti non mancheranno consistenti premi di consolazione.
La classe politica è in pratica l’unica classe rimasta sulla piazza, è una nomenclatura il cui obbiettivo principale è l’autoconservazione, il mantenimento del potere e dei vantaggi che vi sono connessi.
Gabriele Darpetti
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1 commento:
Interesting to know.
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